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Scoperta una nuova esplosione stellare: la micronova

Una nuova tipologia di esplosione stellare termonucleare si aggiunge all’arsenale del cosmo: la micronova. Non fatevi ingannare dal nome, perché è roba potente. Come molte altre volte nella storia della scienza, nessuno stava cercando questa scoperta. Protagoniste di questa storia sono, inaspettatamente, le nane bianche.

Strano questo pianeta

La scoperta è avvenuta analizzando i dati di TESS, una missione dedicata alla ricerca e caratterizzazione dei pianeti extrasolari. È un po’ l’erede morale del fu telescopio spaziale Kepler. Simone Scaringi e Nathalie Degenaar, astronomi presso l’Università di Durham, si accorgono però che nei loro dati c’è un fenomeno bizzarro: una stella che produce un flash molto luminoso e che dura qualche ora. Cercando meglio, e grazie allo strumento X-Shooter montato sul Very Large Telescope dell’ESO, ne trovano altre due.

Nulla di strano, sia Kepler che TESS hanno scoperto migliaia di stelle in grado di produrre eruzioni e brillamenti estremamente intensi, noti come superflare. Da un’indagine più attenta emerge però che le tre stelle sono delle nane bianche. Una nana bianca è il cadavere di una stella simile al Sole, quello che rimane dopo che una gigante rossa disperde gli strati più esterni al termine della sua vita. Cioè un nucleo estremamente caldo e denso, in lento raffreddamento. Una stella morta incapace di tornare a brillare di sua sponte. A meno che non ci sia lo zampino di un’altra stella.

Problemi di coppia

La gran parte delle stelle del nostro universo non nasce da sola. Molte si trovano in coppie, altre in sistemi composti da tre, quattro, persino sette stelle (come nu Scorpii, nota anche come Jabbah). Ma raramente questi sistemi sono fatti di stelle identiche, e alla prima lezione di astronomia si impara che stelle diverse evolvono con tempi diversi. Per la precisione, più sono massicce meno vivono a lungo.

Sirio A e la piccolina Sirio B, come fotografate dal Telescopio Spaziale Hubble. Crediti: NASA, ESA, H. Bond, M. Barstow

Può capitare quindi che in un sistema binario una stella evolva e muoia prima della sua compagna. È quello che è successo nel caso di Sirio: la stella che vediamo in cielo (Sirio A) è due volte più massiccia del Sole e 25 volte più luminosa. Attorno le orbita in circa 50 anni una piccola nana bianca, Sirio B, con la stessa massa del Sole ma una luminosità del 6%. Grande poco meno della Terra. È ciò che rimane di una stella che era ben cinque volte più massiccia del Sole, che 120 milioni di anni fa (metà dell’attuale età di Sirio A) divenne gigante rossa e si trasformò in nana bianca.

Fra 500 milioni di anni i ruoli si invertiranno, e sarà Sirio A a espandersi in gigante rossa. Comincerà a produrre un intenso vento stellare ricco di gas e polveri, e parte di questa massa sarà catturata dal cadavere della sua compagna. Le due stelle sono molto separate (circa 25 volte la distanza Terra-Sole), quindi questo processo non sarà mai molto efficiente. Ma nel caso di coppie stellari più ravvicinate può capitare che gli strati più esterni della gigante finiscano direttamente nella sfera di influenza della nana bianca. Che come un vampiro comincia a banchettare con il gas della compagna morente.

Questo gas forma un disco attorno alla nana bianca e si accumula sulla sua superficie, aumentando di densità e temperatura finché a un certo punto… scoppia tutto. Il gas rubato va temporaneamente incontro a fusione nucleare, generando un’intensa esplosione di luce in grado di durare qualche settimana. È quella che gli astronomi chiamano stella nova, dal latino per nuova. Alcune novae sono in grado di esplodere più volte ciclicamente, come T Coronae Borealis.

Se la nana bianca tramite questo processo ingrassa e raggiunge la fatidica soglia delle 1,44 masse solari allora succede qualcosa di più distruttivo: l’intero volume della stella va incontro a una fusione nucleare incontrollata. Un’esplosione termonucleare nota come supernova di tipo Ia, dove il super ne indica la maggiore luminosità e durata rispetto a una nova classica. Sulla sigla Ia non ci dilunghiamo troppo, è solo un modo per distinguerla da altre tipologie di supernova, come quelle in cui è una stella vera e propria a morire. Questo è il contesto della scoperta appena annunciata.

Il segreto è nel campo magnetico

Quello che emerge dallo studio pubblicato su Nature è che le nane bianche dotate di campo magnetico particolarmente intenso possono rendersi protagoniste di un ulteriore fenomeno di tipo esplosivo, prima sconosciuto e battezzato micronova. In pratica il forte campo magnetico convoglia il materiale “rubato” verso i poli magnetici della nana bianca, dove si genera un punto ad alta temperatura e densità. Le condizioni possono diventare tali da innescare in modo localizzato la fusione nucleare, generando una rapida esplosione che dura qualche ora, contro le settimane della nova che coinvolge l’intera superficie e atmosfera della nana bianca.

Illustrazione artistica che mostra la dinamica alla base delle micronovae (e in generale di novae e supernovae di tipo Ia). Il disco azzurro è costituito principalmente da idrogeno rubato alla stella compagna. Al centro del disco la nana bianca usa il suo potente campo magnetico per incanalare l’idrogeno verso i suoi poli. Man mano il materiale si accumula si scalda, finché non si innesca un’esplosione termonucleare. Il campo magnetico confina questa reazione alle regioni intorno ai poli: una micronova. Crediti: ESO/M. Kornmesser, L. Calçada

Questa esplosione ha circa un milionesimo della potenza di una nova vera e propria, da cui il termine micronova. Ma non bisogna farsi ingannare: in ciascuno di questi scatti d’ira la nana bianca consuma una quantità impressionante di materia: circa 20 trilioni di kg (20 milioni di milioni di milioni, o 2×1019 kg). Come una piccola luna di Saturno (Mimas è 3,75×1019 kg), o 3,5 miliardi di Grandi Piramidi di Giza.

Ora che sappiamo dell’esistenza di questo fenomeno la priorità è trovarne altri, per capire perché alcune nane bianche producono queste esplosioni e altre no, e quali sono i meccanismi coinvolti nella loro generazione.

Leggi la press release sul sito dello European Southern Observatory (ESO).

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