Venerdì 10 maggio, poco dopo il tramonto, i cieli d’Italia si sono accesi di un bagliore carminio e violetto, attirando l’attenzione di milioni di persone! Le aurore e i fenomeni associati si sono protratti per tutta la notte e solo il sorgere del Sole ha cancellato i colori ultraterreni dai cieli italiani. La Terra aveva appena attraversato la peggiore tempesta geomagnetica degli ultimi 20 anni.
Una macchia gigantesca
Nei primi giorni di maggio 2024 l’attività solare ha conosciuto un aumento notevole, con la formazione di due regioni attive molto grandi. Prima è stato il turno di AR 3663, nell’emisfero nord del Sole, che tra il 3 e il 6 maggio ha prodotto una decina di brillamenti (flare) molto intensi. Il maggiore è stato un brillamento X4.5, il 6 maggio mattina. Nessuno di questi ha però prodotto delle eruzioni di massa coronale (CME) significative. Questo ci interessa perché sono le CME a causare le tempeste geomagnetiche, quando colpiscono il campo magnetico del nostro pianeta. E infatti sulla Terra non è successo quasi nulla (fatta eccezione per i blackout radio temporanei generati dai flare in sé).
Le cose sono cambiate con la formazione nell’emisfero sud di un altro gruppo molto esteso di macchie, che ha ricevuto l’etichetta AR 3664. La regione era apparsa a inizio mese, ma tra il 7 e l’8 è esplosa in dimensioni, raddoppiando in 24 ore. L’8 maggio ha raggiunto 1200 milionesimi di dimensione, pari allo 0,12% della superficie solare, e il 10 maggio addirittura i 2400 milionesimi. Un vero colosso! Ma non sono le dimensioni a contare, bensì la struttura del campo magnetico. La configurazione di AR 3664 si è mostrata da subito molto complessa, tanto che ad alcuni ha ricordato il gruppo di macchie che il 1° settembre del 1859 si rese protagonista della più potente tempesta solare mai registrata: l’Evento di Carrington.
Una macchia iperattiva
AR 3664 non si è fatta pregare, dando il via alla produzione di molti brillamenti. I 12 flare più intensi sono ben 8 in classe X (tra cui un X5.9, secondo più intenso dell’intero ciclo) e i restanti 4 superiori a M8. Stavolta però ad alcuni brillamenti è stata associata una CME significativa!
In particolare sono state prodotte in poco tempo ben quattro CME importanti, in particolare quelle evidenziate in arancio e rosso. Curiosamente, i flare delle CME dell’8 maggio non sono nemmeno così particolari come intensità!
Flare | Orario | CME (tipo) | Orario |
X1.0 | 12/05 16:26 | ||
X1.5 | 11/05 11:44 | ||
X5.9 | 11/05 01:23 | IV | 11/05 02:36 |
X3.4 | 10/05 06:54 | III | 10/05 06:36 |
X1.1 | 09/05 17:44 | ||
X2.2 | 09/05 09:13 | III | 09/05 09:24 |
M9.9 | 08/05 22:27 | ||
X1.0 | 08/05 21:40 | ||
M2.0 | 08/05 19:21 | II | 08/05 19:24 |
M7.9 | 08/05 17:53 | IV | 08/05 21:28 |
M8.7 | 08/05 12:04 | III | 08/05 12:48 |
X1.0 | 08/05 05:09 |
Subito si è configurata una situazione promettente: le CME partite dopo erano più veloci e quindi in grado di raggiungere e sommarsi a quelle partite prima. Giornalisticamente questo fenomeno è chiamato “CME cannibale”, e fa sì che più tempeste deboli possano diventarne una sola molto intensa
L’impatto con la Terra
Già alla sera del 9 maggio si sapeva che la CME cannibale avrebbe colpito la Terra nelle prime ore di sabato 11, e pertanto è stata diramata la prima allerta. La giornata è trascorsa nell’attesa, quando finalmente alle 19:20 il fronte della tempesta solare ha superato i nostri satelliti di monitoraggio, posti a 1,5 milioni di km dalla Terra nel punto lagrangiano L1. Subito si è capito che la tempesta sarebbe stata parecchio intensa, possibilmente fino al livello G4 (grave).
La tempesta solare ha impiegato solo 25 minuti a percorrere la distanza che separa L1 dalla Terra, e alle 19:45 ha colpito la magnetosfera terrestre. Il campo magnetico del nostro pianeta si è compresso sotto l’assalto delle particelle cariche della CME, e questo è stato registrato dai magnetometri a terra.
Il significato degli indici
Indice Kp | Scala NOAA |
5 | G1 (lieve) |
6 | G2 (moderata) |
7 | G3 (forte) |
8 | G4 (grave) |
9 | G5 (estrema) |
Il disturbo geomagnetico viene misurato principalmente da due indici. Il primo è noto come indice K planetario, o Kp index. È un numero adimensionale ricavato unendo le osservazioni da parte dei magnetometri di tutto il pianeta, e va da 1 a 9. In base all’indice Kp si determina la gravità della tempesta geomagnetica indotta.
L’altro è l’indice di disturbo temporale, noto come indice Dst, ed è misurato in nanotesla (nT). Più è negativo peggio è! Il valore che rappresenta è associato all’intensità delle correnti ad anello che avvolgono il nostro pianeta e che vengono caricate dall’arrivo della tempesta solare. Più la tempesta è forte, più le correnti sono intense, maggiore il campo magnetico sviluppato da esse e maggiore l’indebolimento del campo geomagnetico complessivo.
Non basta però che la CME colpisca la Terra: il suo campo magnetico deve essere orientato giusto! Il vettore del campo magnetico terrestre ha il nord che punta verso l’alto (appunto il nord geografico), e questo significa che componente verticale magnetica (chiamata Bz) della CME deve essere orientata al contrario (verso sud) per non essere respinta. Ecco, la CME del 10 notte aveva un Bz negativo addirittura di -50 nT!
L’aurora in Italia
Subito l’enorme energia della tempesta solare ha cominciato a scaricarsi nell’alta atmosfera terrestre, generando aurore molto intense. In Italia era pieno giorno, ma con il calare della notte lo spettacolo è diventato sempre più apparente, finché alle 22:30 ha invaso le bacheche di ogni social. Come il 5 novembre scorso gli avvistamenti mostravano un mix di fenomeni aurorali variegati. Dalle regioni meridionali è risultato visibile esclusivamente il SAR, mentre da quelle settentrionali era chiarissima anche la presenza dei pennelli aurorali veri e propri, di colore magenta e verdastro.
Questo perché le aurore non hanno interessato direttamente i cieli nazionali! L’anello aurorale si trovava infatti sopra alla Germania e alla Francia settentrionale, molto più a meridione del normale ma comunque a nord delle Alpi. Le aurore però sono un fenomeno molto esteso verticalmente: la cima delle cortine luminose raggiunge i 600 km di quota! Questo significa che, come una montagna molto alta, le aurore possono essere visibili anche da molto lontano. Ecco perché guardando verso nord era possibile cogliere il vivido bagliore rossastro del SAR e il violetto/verde delle aurore, basso sull’orizzonte. Le località a nord del Paese hanno ovviamente potuto osservare un fenomeno molto più intenso e colorato rispetto a quelle del centro e del sud.
SAR o non SAR?
Distinguere tra SAR e aurore non è facilissimo, ma in aiuto ci viene una fotografia panoramica sferica scattata in Nuova Zelanda nel 2015. L’arco SAR è la grande struttura rosso carminio, appunto a forma di arco. Dietro al SAR, più lontana sull’orizzonte, c’è l’aurora vera e propria. Le pennellate magenta sono le strutture più elevate delle cortine luminose, e alla loro base infatti si nota il bagliore verde dei serpenti di luce aurorale veri e propri, quelli che tanto vengono fotografati in Scandinavia.
L’arco SAR a causa della sua altitudine elevata e della sua posizione avanzata è il fenomeno aurorale più facile da avvistare, visibile anche da latitudini molto meridionali (o settentrionali nel caso della Nuova Zelanda). A volte l’arco SAR evolve a formare una pennellata rosa chiaro e luminosa nota come STEVE (come visibile nel timelapse pubblicato in questo articolo), fenomeno ancora poco compreso e oggetto di studio.
La tempesta del ventennio
A fare la storia non è stata tanto la visibilità dell’aurora, la sua vividezza e la sua persistenza. Perché queste caratteristiche erano solo dei sintomi del vero fenomeno in corso.
Alle 00:54 italiane dell’11 maggio la NOAA fa il grande annuncio: l’indice Kp aveva raggiunto quota 9, per la prima volta dal 2003! Ciò poneva la tempesta geomagnetica nella categoria più alta di tutte: G5, estrema.
Non si vedeva una cosa del genere dal lontano novembre 2003, quando le cosiddette “tempeste di Halloween” accesero i cieli d’Italia di rosso. All’epoca non esistevano i social media, ai telegiornali se ne parlò brevemente e soprattutto non esistevamo le migliaia e migliaia di webcam HD oggi presenti sull’arco alpino e attive praticamente h24. Tutto questo oggi fa sì che il fenomeno sia mediaticamente molto più risonante, riscuotendo un interesse impensabile 20 anni fa.
Anche l’indice Dst ha raggiunto valori inediti da praticamente una generazione. Alle 05:00 di mattina dell’11 maggio era sceso a quota -412 nT! Per un termine di confronto, le citate tempeste di Halloween 2003 raggiunsero un Dst molto simile (-415 nT), mentre quella storica del 13 marzo 1989, che lasciò al buio l’intero Quebec, fu di -590 nT. Infine, l’Evento Carrington raggiunse un Dst stimato in -1760 nT!
Siamo ancora ben lontani quindi da una tempesta distruttiva, ma l’evento della notte tra 10 e 11 maggio si conferma come il più intenso da oltre 20 anni. Roba che non si vedrà di nuovo a stretto giro e che capita al più una volta al ciclo solare (in media).
La fine della tempesta
Le condizioni di forte disturbo della magnetosfera terrestre sono perdurate per ben 36 ore. A partire dalle 16:00 italiane di sabato 11 la componente Bz negativa è gradualmente venuta a mancare, “chiudendo” in un certo senso la porta alle particelle del vento solare. Questo ha progressivamente fatto ridurre di intensità le aurore, che al momento del tramonto erano ancora debolmente visibili. Alcuni avvistamenti sono avvenuti dalle regioni settentrionali, ma è durato poco. Per le 00:30 di domenica erano del tutto scomparse (potenza emisferica inferiore ai 20 GW).
Il campo magnetico terrestre però era ancora disturbato: Bz positivo significa solo che le particelle della CME non riescono a sfondare lo scudo magnetico della Terra, pur continuando a comprimerlo. Tra le 03:00 e le 06:00 di domenica il Bz è tornato debolmente negativo, a causa dell’arrivo di un’altra CME. L’impatto è stato solo di striscio, e l’aumento di attività poco significativo. Poi tutti gli indici di disturbo sono rapidamente decaduti e per le 08:00 di mattina il fenomeno era totalmente terminato.
I valori di velocità e temperatura del vento solare sono i più lenti a rientrare, e domenica sera erano ancora abbastanza sostenuti (800 km/s e 106 K). Per le 14:00 ci si attendeva un nuovo peggioramento con l’arrivo di una nuova CME “cannibale”, generata dai brillamenti avvenuti il 10 e 11 maggio. La tempesta ha fatto parecchio ritardo, ma è infine arrivata, cominciando a interessare la nostra magnetosfera solo alle mezzanotte di lunedì 13. L’evento è durato alcune ore, senza produrre aurore significative e raggiungendo solo indice Kp 6, pari a una tempesta geomagnetica moderata (G2). A mezzogiorno il fenomeno era concluso.
Appendice: la tempesta di radiazioni
La tempesta geomagnetica, indotta dal disturbo del campo geomagnetico terrestre, non è l’unica manifestazione dell’attività solare sul nostro pianeta. Esistono altre due manifestazioni: il blackout radio e la tempesta di radiazioni. Il primo è indotto da raggi X prodotti dai brillamenti solari, che ionizzano l’alta atmosfera impedendo la propagazione delle onde radio a bassa frequenza sulle lunghe distanze. La seconda è invece indotta da protoni ed elettroni solari ad alta energia che bombardano l’atmosfera terrestre, in particolare sopra i poli (dove vengono convogliati dall’imbuto del campo magnetico terrestre).
I problemi ai satelliti e all’ambiente spaziale non sono infatti generati dalla tempesta geomagnetica, che genera le aurore e colpisce le strutture terrestri, ma dalla tempesta di radiazioni. Le particelle cariche (principalmente protoni) si accumulano sulle superfici metalliche dei satelliti, andando a causare problemi di trasmissione, se non archi voltaici e cortocircuiti veri e propri in grado di mandarli fuori uso. Anche nel caso della salute degli astronauti (o nei casi estremi dei passeggeri negli aerei di linea) è la tempesta di radiazioni a essere d’interesse, perché i protoni penetrano nei tessuti e possono danneggiare il DNA.
Flusso di protoni 1/(cm2·s·sr) | Scala NOAA |
10 | S1 (lieve) |
100 | S2 (moderata) |
1.000 | S3 (forte) |
10.000 | S4 (grave) |
100.000 | S5 (estrema) |
I protoni solari vengono generati dai brillamenti più energetici, ma al contrario delle CME che sono “lente” (1000-2000 km/s) questi viaggiano a una frazione significativa della velocità della luce. Significa che arrivano pochi minuti dopo il brillamento, e continuano a bombardare la Terra finché la regione attiva che li produce non si calma o non esce dall’allineamento magnetico con il nostro pianeta.
La tempesta di radiazioni viene proclamata quando il flusso di protoni più energetici di 10 MeV supera i 10 per centimetro quadrato, per secondo, per steradiante. In tal caso si è in tempesta di radiazioni minore (S1). I vari livelli di gravità sono separati da un ordine di grandezza ciascuno: il massimo è la tempesta di radiazione estrema (S5), quando si supera un flusso di 100.000 protoni/(cm2·s·sr).
La tempesta di radiazioni del 10-12 maggio
Dal grafico soprastante è possibile osservare che i protoni energetici (>10 MeV), più associati alle CME, hanno cominciato ad arrivare addirittura il giorno prima. della tempesta. Il loro flusso è poi aumentato rapidamente, raggiungendo quota 207 (tempesta moderata S2) al momento dell’impatto alle 19:45 italiane. Il valore è sceso rapidamente, stabilendosi sulla soglia che separa la tempesta S1 dalla quiete, finché AR 3664 non ha liberato il mostro: il brillamento X5.7 delle 03:20 italiane.
La botta è stata talmente forte che dopo pochi minuti la Terra è stata raggiunta da protoni MOLTO più energetici (linee verde e blu, con energia 5 e 10 volte superiori) e quelli a 10 MeV sono stati riportati al limite tra tempesta S1 (lieve) e S2 (moderata). Lì è rimasta per gran parte di sabato 11 maggio, per poi iniziare gradualmente a diminuire e uscire dalle condizioni di tempesta alle 13:45 di domenica 12.